“Casa Vittoria: qui sono rinato”
Casa Vittoria raccontata con le parole degli ospiti
“Un posto dove ho trovato riparo e cure. Qui piano piano mi sto ritrovando. Quando sono entrato ero perso, adesso mi sento rinato”.
Così Casa Vittoria, struttura che ospita persone affette da HIV/AIDS, è descritta da Mario, 35 anni, che è lì da qualche anno. Un posto in cui potersi ritrovare. Non un ospedale, niente camici. C’è anzi l’odore di cucinato del pranzo preparato dal cuoco di Casa Vittoria, stanze una diversa dall’altra, una sala in cui vedere la tv con un po’ di riviste e giornali sparsi in modo disordinato, un po’ di quel disordine che abbiamo tutti nelle nostre case.
Perché Casa Vittoria è una casa così come è scritto sul citofono ed è il primo servizio della Fondazione Caritas che ne permette l’apertura nel 1989 per dare risposta ad un bisogno per cui una risposta all’epoca non c’era. Il Cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli, decise di accogliere le richieste di due ragazze, che, ricoverate per AIDS al reparto di malattie infettive dell’ospedale di Careggi, volevano morire in un luogo accogliente, in una casa appunto. Così nasce Casa Vittoria con i suoi 13 posti letto in cui nel tempo arrivano tante persone. circa 160 in trent’anni. Nasce come luogo caldo e familiare dove poter trascorrere gli ultimi momenti di una vita quasi sempre difficile: un luogo sicuro, un posto in cui non essere discriminato, uno spazio dove potersi riparare dalla ghettizzazione di una società che rifiutava. La società era quella degli anni ’90, in cui il tema dell’Hiv/Aids, complice una non ancora approfondita conoscenza medica della malattia e delle sue modalità di trasmissione e cura, era caratterizzata da terrore misto a disprezzo. “Ci davano i bicchieri di plastica quando andavamo al bar”, racconta la responsabile della struttura di Casa Vittoria Nicoletta Maggini che ha visto nascere questa struttura e che lavora ancora lì. È in quel contesto storico che va inserita la nascita e il bisogno di una struttura intesa come Casa Vittoria. Non un ospedale, che già c’era, ma un luogo dove accogliere prima la persona e poi far fronte alla malattia.
“Casa Vittoria per noi è stato un rifugio sicuro dove abbiamo trovato la voglia di andare avanti e di affrontare la vita. Insieme siamo riusciti a superare momenti difficili ma insieme siamo riusciti a superarli. Da quando sono qui la mia vita ha avuto una svolta”. Così Stefania, 45 anni, che vive lì da un anno.
L’obiettivo era ed è tuttora permettere alle persone di vivere degnamente come tutti hanno diritto. Naturalmente, le azioni messe in campo sono legate all’evoluzione del trattamento della malattia. Oggi, che per fortuna la ricerca ha fatto passi da gigante, chi vive con questa malattia non è un condannato come nei decenni scorsi. E quindi Casa Vittoria oggi chi accoglie?
“Accoglie chi, sieropositivo o con Aids, proviene da contesti di forte fragilità economica o familiare. Oppure uomini e donne che provengono da altri Paesi che, arrivati in Europa in cerca di un futuro migliore, scoprono di avere questa malattia. In Italia la cura è accessibile a tutti e gratuita. Lo stigma – continua la responsabile – nel tempo nella nostra società è sicuramente diminuito, ma in tanti altri contesti rimane vivo. Non si deve abbassare la guardia su questo tema.”
Oggi quindi Casa Vittoria, accoglie persone che sicuramente godono di cure e terapie migliori rispetto agli anni precedenti, ma che provengono da contesti di profonda fragilità.
Casa Vittoria e il suo progetto rientrano nell’ambito dell’iniziativa del Fast Track Cities, protocollo internazionale a cui la città di Firenze ha aderito il 1° dicembre del 2019 in occasione della giornata mondiale dell’Hiv/Aids.
Casa Vittoria un posto quindi dove tanti hanno terminato la loro vita, e tanti altri l’hanno ritrovata.